La mia giovinezza presentiva questo spasimo,
nell'attesa di sentirsi bramata,
e io non volevo perdere un simile desiderio:
fu l'oggetto felice del mio dolore venturo.
Presente, l'ho vissuta come un rimpianto,
come una struggente nostalgia;
sinché l'ho vista tutta, essere e passare.
L'età matura raccoglie adesso
questo sentimento, e
accade così che la ferita io
la porti appresso come un trofeo, una gemma:
per quanto dolce è il suo ricordo,
per quanto amaro è il suo
impossibile rimarginarsi.
Per questo oggi ho bevuto a te
come alla fonte di tutte le dolcezze,
all'intatto profumo,
al gusto perfetto della giovinezza.
E il fiore e il frutto e il lampo
dei miei anni migliori non avevo, ma rapivo
al tempo. La gioia ho avuto sulla bocca,
sulla vetta di tutti i sensi,
sorella impossibile di puntuale amarezza;
e l'ho profusa ben più di quanto
non sapesse traboccare.
Suonava su di te la mia corda
acerbe melodie, distratte dal pianto
infinito di vivere. Lontani
erano ancora i torvi timori femminili,
quei certi dubbi che nuocciono
ai delicati fervori,
e in un brivido ho sentito
come tu mi facevi della tua età fratello
e, sul ponte inatteso della superbia ventenne
mi traevi, priva d'incertezza.
Male mi hanno fatto i tuoi baci,
più male di tutto, eppure in essi
il maggior piacere ho trovato,
il miele della vita.

Dov'era il cinico allora?
la spiaggia mesta e luminosa,
il deserto, la danza leggera?
Dove il riso che rende la vittoria agli sconfitti?
Non l'ho cercato; non c'era ed ho fatto
finta di niente, come spesso si fa
nella vita. E per questo mi avevi:
me e il tesoro di cui son custode,
e con essi la mia disperazione.
Ero, sì, preda in profondo,
per quanto più del predone fingevo
occhio e movenze. Sono stato felice,
confesso, come direi dannato.
E lo sentiva il tuo tremito questo,
non tu, intenta al compenso umiliato
che io ti porgevo;
non tu che non passi dove io passo,
e non fai coi pensieri vendetta
di essere al mondo.